Questo blog nasce dalla passione per i libri e dalla volontà di raccogliere insieme un po' di commenti che ho lasciato in giro qua e là su Facebook. Non sono un critico letterario nè ambisco esserlo, sono soltanto un lettore che ama riflettere su ciò che legge e condividerlo con gli altri per confrontarsi. Non ci sono tutti i libri che leggo, ma solo quelli di cui ho avuto voglia di parlare, anche senza ragioni specifiche, magari soltanto perchè in un determinato momento avevo voglia di farlo.

venerdì 24 febbraio 2012

Il maestro e Margherita - Michail Bulgakov


Caro Michail,
pur consapevole del ruolo universalmente riconosciuto da critici e lettori a te e alla tua opera più nota nel panorama mondiale della letteratura del '900, ho deciso di mollarti. Il motivo è molto semplice: mi stavi annoiando, sfogliarti non mi dava nessuna emozione, né positiva né negativa. Pare Montale ti abbia definito un dono all'umanità, ma come ha giustamente commentato una delle mie consulenti letterarie, mia figlia, mica sarà stato completamente lucido tutti i giorni della sua vita!

Mi stavi annoiando perché ti ho trovato terribilmente datato, superato dai tempi, dalla storia, dalle vicende politiche che hanno stravolto il tuo paese alla fine del secolo scorso. La tua satira, politica più che sociale, mostra tutti i segni del tempo, non fa ridere, neanche sorridere, la si può solo cogliere come una testimonianza dell'epoca. La satira politica, a differenza di quella di costume, invecchia. Parlando di te con l'altro mio consulente letterario, mio figlio, commentavamo che Plauto o Trilussa mantengono intatta la lor vis comica perchè le tipologie umane da essi irrise esistono tutt'ora: il vanaglorioso, l'accidioso, lo spaccone, ecc. Il burocrate russo di epoca staliniana invece no, neanche il letterato di regime della medesima epoca; si sono estinti con il loro stesso regime. E con essi la capacità di far ridere o almeno sorridere facendone bersaglio della tua ironia. Perché la satira punge quando cammina sul filo dell'irriverenza, in bilico fra la sfida all'autorità ed il rischio di divenirne vittima. Ma l'autorità che la tua satira ha sfidato, non esiste più, e quindi viene inevitabilmente meno l'irriverenza. E la vis comica va a farsi benedire.

Lo so, il tuo è un libro che ha diversi livelli di lettura, come tutti i libri di un certo livello; ma a pag. 150, il limite oltre il quale non ho osato spingermi, di questi non v'erano che labili tracce. I parallelismi fra la Mosca di Stalin e la Gerusalemme di Pilato, appena accennati fin dove ti ho letto, appaiono anch'essi inattuali, traslati, dagli accadimenti storici, dall'attualità alla storia. Quanto può emozionare un lettore del XXI secolo un parallelismo fra Bisanzio e Troia? Quanto tacciare Tiberio di essere peggio di Hammurabi? E' vero, le tue vicende non sono così remote, ma appartengono ormai ugualmente alla storia, hanno perso quindi l'energia dirompente che deriva dall'essere vividi.

A molti lettori per i quali ho la massima stima e fiduca il tuo libro è piaciuto. Mi chiedo: quando l'hanno letto? Non è oziosa la domanda, forse t'avessi letto anch'io venti o trenta anni fa t'avrei apprezzato. Perchè venti o trent'anni fa era ancora vivo, ahimè, quel regime che, onore a te, hai osato sfidare con la tua penna. Morto lui, sei morto tu.

Addio caro Michael, pur riconoscendo il tuo valore, non credo ci incontreremo nuovamente, temo, per me, che tu non abbia molto da dirmi. Spero non me ne vorrai.
Cordialmente,

Luciano

giovedì 16 febbraio 2012

Il dono di Asher Lev - Chaim Potok


Tutto quello che sapevo di Chaim Potok è che era un rabbino americano. Per di più credevo, erroneamente, che scrivesse saggi, che fosse quindi uno dei tanti predicatori che spacciano le proprie cosmogonie immaginarie per verità assiomatiche. Data la mia profonda allergia a preti, rabbini, imam e sciamani vari, me ne sono sempre tenuto alla larga.
Poi qualche tempo fa ad una cena mi ritrovo seduto vicino ad un tizio che non conoscevo e chiacchierando viene fuori che è un fan sfegatato di Roth quanto me. E' lui che mi consiglia Potok e il consiglio di uno che condivide la mia stessa passione non posso lasciarlo cadere nel vuoto. Mi da un titolo: Il dono di Asher Lev.

Dopo averlo comprato scopro che è il sequel di un altro libro, Il mio nome è Asher Lev, ma me ne frego e mi fido del suggerimento ricevuto. Devo dire che non ho mai sentito la mancanza della prima parte, mai percepito la storia come monca. Il protagonista, un pittore di fama mondiale, torna negli USA dopo 20 anni, dopo essere stato scacciato dalla sua comunità per aver dipinto una crocefissione (impensabile per gli ortodossi che un ebreo ritragga un soggetto simile) in occasione del funerale di uno zio e vi rimane più a lungo del previsto per una serie di vicissitudini.

Che dire? L'amore, immenso, è sbocciato dopo pochissime pagine.
Stilisticamente è piuttosto semplice, manca qualunque ricercatezza linguistica, la prosa però è veramente chiara, dice quello che deve dire, senza fronzoli inutili. Un libro scritto per essere letto, non per cibare il narcisismo dell'autore o arruffianarsi il lettore. Mancano del tutto gli effetti speciali, i colpi di scena non indispensabili, la suspense per tenere agganciati i lettori svogliati.
Eppure dentro c'è tutto, c'è di tutto.

Ho amato a tal punto questo libro ed i suoi personaggi da faticare a parlarne, perché farlo vorrebbe dire razionalizzare il mio sentimento e quindi in qualche modo svilirlo. Quando ti innamori non stai lì a spiegarti perché, te la godi e basta, a provare a farlo si romperebbe l'incantesimo.
Mi ha trasmesso un'incredibile senso di pace ed una grandissima voglia di vivere ed amare me stesso e gli altri, malgrado vi siano narrate situazioni di tensione e non manchino accenni alla shoah. Non è comunque un libro sull'olocausto, è ambientato in una setta immaginaria dell'ebraismo chassidico (quelli sempre vestiti di nero e con i boccoli al lato delle orecchie), molto interessante anche come finestra aperta su quello strano mondo. E' un libro sulla libertà di espressione, sullo scegliersi la vita, sull'ostilità e la cecità dei bigotti. Insomma, un libro che ti insegna qualcosa sul vivere, senza peraltro volerlo fare, non pensate a Coelho e robaccia simile.

M'è venuto in mente che l'ebraismo non mira alla conversione degli infedeli, anzi diventare ebrei è piuttosto complicato, al contrario del cristianesimo che quando ha potuto ha convertito a forza e ucciso che si opponeva. Una volta m'è stato spiegato che un buon ebreo deve dare l'esempio con il suo stile di vita a chi ebreo non è. Ecco, credo che questo concetto sia in qualche modo collegato a quanto dicevo prima: questo libro insegna senza essere didattico o peggio ancora falsamente profetico o filosofico.

Devo dire che nelle ultime 50 pagine il pathos cala un pochino e la narrazione tende a ripetersi, ma gli si può perdonare tranquillamente. Potrei dire di più, moltissimo di più, ma dovrei usare la testa, invece questo libro voglio che mi resti nel cuore, credo che la differenza con Roth sia qui: Roth ti cattura la testa, ti trascina in un vortice infinito, a volte quasi stordendoti. Potok invece ti conduce con tranquillità e tu tranquillamenti ti lasci condurre.

Ah, tanto per concludere cazzeggiando: da grande voglio fare il rebbe! E' facilissimo, basta farsi crescere la barba e parlare per enigmi: "il terzo ci salverà". Buona pure come profezia calcistica!