Questo blog nasce dalla passione per i libri e dalla volontà di raccogliere insieme un po' di commenti che ho lasciato in giro qua e là su Facebook. Non sono un critico letterario nè ambisco esserlo, sono soltanto un lettore che ama riflettere su ciò che legge e condividerlo con gli altri per confrontarsi. Non ci sono tutti i libri che leggo, ma solo quelli di cui ho avuto voglia di parlare, anche senza ragioni specifiche, magari soltanto perchè in un determinato momento avevo voglia di farlo.

lunedì 19 novembre 2012

La casa sopra i portici - Carlo Verdone


Non so come sia entrato in casa, non l'avrei mai comprato, ma quando l'ho visto, ho iniziato a sfogliarlo ed è finita che me lo sono letto tutto. Innanzitutto onore all'onestà di Verdone che ha dichiarato in TV che lui ha raccontato ed un ghost writer ha messo su carta. Onore pure al ghost writer, Fabio Maiello, che ha reso tutto con prosa semplice e gradevole. E' una sorta di autobiografia che ruota attorno ad un bellissimo appartamento di Lungotevere, di un palazzo che avete potuto ammirare in tutti i TG di un paio di giorni fa mentre faceva da sfondo alle manganellate che un poliziotto dava in faccia ad un manifestante già immobilizzato. Mi viene in mente il bellissimo film di Scola, La famiglia, fatte ovviamente le debite proporzioni sul valore culturale dell'opera.

Il libro trasuda di romanità perduta. Dico perduta perchè è la romanità di una famiglia borghese, una romanità che non esiste più, soppiantata dal macchiettismo coatto alimentato da certi modelli televisivi. Ci sono atmosfere cittadine che ricordo molto bene, un'umanità scanzonata e sorniona ma raramente maleducata, al contrario di oggi dove l'arroganza è il leit motiv che si respira a pieni polmoni nelle strade. C'è il rammarico di Verdone per questa irrimediabile perdita, rammarico che è da tempo anche il mio.

Recentemente sono stato a Palermo, Napoli e Mantova, tre bellissime città cui ho invidiato soprattutto il fatto che fossero abitate da palermitani, napoletani e mantovani, che le botteghe fossero quelle che servono alla vita quotidiana di chi ci vive, che ci fossero il fornaio, il barbiere, la ferramenta, e non una sfilza interminabile di bar e ristoranti ad uso e consumo di visitatori del weekend in arrivo dalla cintura suburbana e turisti occasionali.

Roma è morta, sopravvivono i suoi palazzi e la sua impareggiabile bellezza architettonica, per quanto vituperata dall'incuria e dal saccheggio, fisico e morale. Ma non è più una città, non sono più i romani i suoi abitanti. Ai pochi rimasti, per lo più anziani, restano i ricordi ed il dolore che dà una perdità identitaria così profonda.

mercoledì 14 novembre 2012

Le correzioni - Jonathan Franzen


Se fosse un audiovisivo sarebbe un TG1 delle 20, preoccupato di non guastare l'appetito dello spettatore anche quando la notizia è una strage orribile in un mercato mediorientale. E' un romanzo, invece, che ci dice che moriremo tutti, molti di noi devastati dall'alzheimer o affogati nelle proprie ed incontrollate emissioni corporali; è una dolorosissima realtà, cui noi non credenti non possiamo opporre neanche l'illusoria consolazione dell'infinito. Eppure per Franzen il dramma umano, l'inguaribile malattia epilogo dell'esistenza, va edulcorato, come si conviene fra persone per bene.

Spettacolarizzazione americana della cultura, l'ha definita qualcuno e in questo mi trovo perfettamente d'accordo. Viva Roth, che ti sbatte in faccia la devastazione cui porta il cancro ad un qualche organo vitale, così senza mezzi termini, senza condirla con venature di umorismo che vogliono stemperare ciò che non può, e forse neanche deve, essere stemperato.

Il libro parte molto bene, ma si perde dopo un paio di centinaia di pagine. I lunghi capitoli centrali sono piuttosto noiosi e densi di dialoghi il cui spessore non soddisfa la pretesa di dire più di ciò che le parole stesse che si scambiano gli interlocutori riescono a dire. Si divaga spesso, a volte in modo funzionale alla narrazione, altre decisamente no. Nel finale, all'ultimo capitolo di circa 100 pagine, si riprende, ma divenendo altresì un po' scontato, teminando là dove fin dall'inizio si capiva volesse andare a parare. Dove sono i colpi di scena di cui qualcuno ha detto?

Un romanzo mediocre nel complesso, sia stilisticamente che per il contenuto. E visto che si dice che questo sia il migliore di Franzen, mi sa che il mio rapporto con l'autore si conclude qui. I Lambert, recita la quarta di copertina, siamo noi. Magari, dico io! Magari le tensioni familiari cui ho assistito in famiglie normalissime, fossero tutte là. O sono il solo a non vivere in un condominio del Mulino Bianco?

giovedì 1 novembre 2012

Saggio sulla lucidità - José Saramago


Tanto m'ha appassionato, intrigato, emozionato, colpito Cecità, quanto m'ha annoiato Saggio sulla lucidità, al punto di decidere di mollarlo a due terzi circa. Il primo è una spietata analisi dell'animo umano attraverso il resoconto di fatti realisticamente possibili, il secondo un'indagine sul lato oscuro del potere, basato su una premessa realistica ma sviluppato su una serie di fatti che più che alla fantapolitica attengono, quasi, al fantastico. Lo stile è lo stesso, quel serrato periodare che quasi fa strabuzzare gli occhi tanto è fitto. Ma se in Cecità ad alleggerire la lettura ci pensano gli avvenimenti, serrati non meno dello stile, in Saggio, dove spesso devono scorrere parecchie pagine perché accada qualcosa di concreto, tutto diventa più pesante da seguire. I fatti stessi, inoltre, mi sono apparsi a volte scontati e prevedibili, laddove possono essere riferiti analogicamente a situazioni golpistiche degli ultimi decenni, o poco verosimili quando frutto genuino della fantasia dell'autore.
Insomma, per non tirarla troppo per le lunghe: se leggere Cecità è quasi un dovere per ogni essere pensante, a non leggere questo non si commette di sicuro un peccato.