Questo blog nasce dalla passione per i libri e dalla volontà di raccogliere insieme un po' di commenti che ho lasciato in giro qua e là su Facebook. Non sono un critico letterario nè ambisco esserlo, sono soltanto un lettore che ama riflettere su ciò che legge e condividerlo con gli altri per confrontarsi. Non ci sono tutti i libri che leggo, ma solo quelli di cui ho avuto voglia di parlare, anche senza ragioni specifiche, magari soltanto perchè in un determinato momento avevo voglia di farlo.

venerdì 27 dicembre 2013

Il deserto dei tartari - Dino Buzzati


La Fortezza Bastiani siamo noi, il perseverare nell'essere ciò che non siamo, confidando illusoriamente che in un futuro indefinito saremo ciò che oggi abbiamo paura di essere. I tartari invece sono i fantasmi, chè di fantasmi si tratta, che albergano nell'animo nostro, quei draghi che da bambini non siamo riusciti ad uccidere e forse non uccideremo mai. Il romanzo si svolge in una dimensione quasi onirica, un limbo extraspaziale ed extratemporale dove tutto è rarefatto ma le regole non possono essere infrante, pena la morte. L'unica speranza è l'attesa, per qualcosa che in vero non arriverà mai, anche perché non esiste più, se mai è esistito.

C'è Kafka con il suo processo senza una reale colpa, c'è Becket con un Godot mai nominato eppure sempre lì da venire, c'è Freud, con i meccanismi complessi della mente umana. E ci siamo noi, fragili e forti a un tempo, ma soprattutto soli contro i Tartari inesistenti della nostra esistenza. Un'esistenza che scorre via fra rinvii sine die, che si tramutano in stanchezza con l'avanzare dell'età, e tenuta a volte in piedi da pallidi lumicini che ci illudiamo, come fa il protagonista, siano di di un avamposto tartaro contro cui finalmente sfoderare la spada, l'occasione di riscatto che si aspetta tutta la vita. Un riscatto che pure arriva, ma quando è ormai troppo tardi, facendo per assurdo della morte l'unico riscatto possibile di una vita mal vissuta.

Il film che ne è stato ricavato, con un cast di primissimo ordine (Gassman, Perrin, Gemma, Noiret, Trintignat) non rende ragione al libro, quasi lo tramuta da introspezione sull'animo umano a specchio di certe assurdità della vita militare. Inoltre, dando alle vicende una collocazione spazio-temporale per quanto vaga e a volte appena allusa, toglie quell'aura eterea che è caratteristica fondamentale del romanzo.

E' triste? E' angosciante? Di sicuro non è una lettura spensierata, bisogna aver voglia di guardarsi dentro mentre si scorrono le pagine, come si fa leggendo certi romanzi che quando li chiudiamo ci lasciano dei segni come avessimo preso pugni sullo stomaco. Del resto, a chi lo accusò di copiare Kafka, Buzzati rispose: non sono io, è la vita che lo fa.

lunedì 16 dicembre 2013

Metello - Vasco Pratolini


Oggi come oggi senza una specializzazione non si va da nessuna parte, perciò ho deciso di specializzarmi anch'io. D'ora in poi leggerò solamente libri di scrittori toscani, ambientati nella prima metà del '900, di cui sia stata realizzata una versione cinematografica e che si trovino usati a un euro o due. In effetti ho cominciato già da un po', prima con The girls of Saint Fredian, e poi con Bube's girl; ora ho per le mani Metellow, che in realtà ho comprato nuovo, ma vi ho piazzato la foto di una vecchia edizione e voi fate finta di credere che anche stavolta l'ho pagato pochi spicci.
Viste certe tendenze esterofile, ho anglicizzato i titoli dei libri, dicono che ci si faccia un figurone!

Diciamolo subito senza mezzi termini: è un gran romanzo. Scorrevole, fluido, alterna sapientemente dialoghi e descrizioni, come pure fatti personali della vita dei protagonisti e scene di vita cittadina della Firenze di più di cent'anni fa. E' stato pubblicato nel '52, ci separano dalla sua stesura all'incirca gli stessi anni che intercorrono fra la prima edizione e le vicende narrate. Questa cosa mi fa un po' impressione; nel '52 gli uomini che vissero quell'epoca di anarchismo, socialismo e lotte operaie erano ancora vivi, Pratolini li conosceva, parlava con loro, con il risultato che il racconto è veramente vivido, di prima mano. Sì, insomma, è come sentir raccontare una storia antica direttamente da chi l'ha vissuta, ma con un linguaggio ed uno stile moderni, attuali e, soprattutto, coinvolgenti.

Ci sono libri, e Metello è sicuramente fra questi, che ogni volta che li apri ti schiudono la porta del loro mondo traslandoti in un'altra dimensione spazio-temporale, sia questo per un paio di pagine o qualche ora di lettura. Non necessariamente si tratta di grandi romanzi, piuttosto di romanzi ben scritti, storie ben narrate, fatte di primi piani e campi lunghi, come fossero un film diretto da un abile regista. Metello, invece, come ho premesso, è anche un grande romanzo. A me poi le ambientazioni otto-novecentesche piacciono in modo particolare, mi piacciono le storie di quell'epoca di incredibile trasformazione, sociale, tecnologica e di costume, storie di uomini e donne che con le loro piccole storie hanno contribuito a scrivere la Storia. Perchè sono Betto, Chellini, Olindo, Pallesi, insieme a tanti sconosciuti, ad aver tracciato la strada dei diritti fondamentali di cui gode oggi chi lavora.

Se vogliamo trovare un difetto, questo libro appare nell'insieme leggermente edulcorato, le sofferenze e la miseria hanno toni sfumati, chi le patisce non sembra aver perso il sorriso, o forse l'abbiamo perso troppo rapidamente noi con una crisi economica che paragonata a quei tempi parrebbe abbondanza. Ho visto pure il film, con Massimo Ranieri e Ottavia Piccolo, bello pure lui, strepitosa la colonna sonora di Morricone (mica bau bau micio micio). Forse Ranieri non era adattissimo al ruolo, troppo minuto nel fisico per come Metello è descritto da Pratolini, ma soprattutto troppo triste ed austero rispetto al personaggio scritto. Bellissime le scenografie ed i costumi, sembravano cartoline d'epoca.

Segnalo infine una bella prefazione di Pennacchi che racconta che il libro fu snobbato dagli intellettuali impegnati dell'epoca perché il protagonista antepone spesso il suo piacere personale alle riunioni sindacali, è carente quindi di coscienza sociale (nel senso leninista del termine). Per fortuna, direi, forse è proprio questa umanizzazione, questa presa di distanza dal realismo socialista in campo letterario, a farne un vero capolavoro.

domenica 8 dicembre 2013

La ragazza di Bube - Carlo Cassola


Quando ero piccolo vedevo in giro dei libri bellissimi che si intitolavano La ragazza di Bube, Il giardino dei Finzi Contini, L'Agnese va a morire e credevo che Bube fosse la località d'origine della ragazza in questione, i Finzi Contini una specie di alberi e l'Agnese un animale che come un'elefantessa anziana si recasse da sé al proprio cimitero. Qualche giorno fa ho investito 1 euro per un'edizione con copertina rigida del 1960 del libro di Cassola ed ho scoperto che Bube non è un luogo ma una persona. Ho scoperto pure un romanzo bellissimo, scritto magistralmente, ma soprattutto grande per il modo in cui descrive persone, situazioni e stati d'animo dei protagonisti non solo in modo diretto, ma anche indirettamente attraverso i dialoghi fra di essi.

Il grosso dei fatti si svolge nel primissimo dopoguerra, quel periodo cioè dove speranze e regolamenti di conti si accavallarono spesso nell'animo degli italiani generando purtroppo delusioni ed eccessi (ma forse è semplicistico parlare di eccessi col distacco dato da 70 anni di distanza). Veramente un affresco chiaro su un periodo travagliato della nostra storia, con gli anglo-americani ancora a dirimere le questioni e le morali cattolica e politica a dettare comportamenti e scelte di vita delle persone. Scelte che con gli occhi di oggi appaiono a volte eccessivamente rigide, come nel caso della protagonista, ma che rivelano una forza interiore straordinaria, ancor di più considerando la scarsità di mezzi, soprattutto culturali di cui i più disponevano allora.

Già che c'ero, mi sono visto pure il film di Comencini del '63, con la Cardinale al top della sua bellezza; bello, anche se non quanto il libro cui pure è piuttosto fedele, mostra per immagini un'Italia che il neorealismo ha immortalato per noi.

lunedì 2 dicembre 2013

Le ragazze di Sanfrediano - Vasco Pratolini


Un quartiere popolare di Firenze nell'immediato dopoguerra, la vita quotidiana di un Italia che si rimetteva in moto faticosamente ma con tanta voglia di vivere, un giovane che ci sa fare con le donne (un po' il Sarracino di Carosone), e loro, un gruppo di ragazze acute, spigliate, determinate, che pur nella debolezza del cuore che gli deriva dall'essere innamorate, sanno trovare tutta la loro forza interiore facendo perno sul rispetto che devono a se stesse. Una prosa lucida e delicata, serena, un linguaggio a tratti desueto che dà il piacevole gusto che si prova nel ritrovare un sapore antico. 

C'è moltissimo sentimento in questo libro: personale, per i rapporti che legano il protagonista alle sue conquiste amorose, ma anche sociale, con il ricordo della guerra partigiana che fa spesso da capolino attraverso l'onore che con essa alcuni personaggi si sono conquistati. Non c'è invece il sentimentalismo, non c'è la ricerca della lacrima, dell'"istinto basico", non c'è il tentativo, molto in voga tra alcuni scrittori recenti, di spingere il lettore a trovare se stesso fra le righe, identificarsi, riconoscersi, come se il narcisismo fosse l'unica molla che spinge alla lettura di un romanzo.
E poi c'è la Storia, quella fatta dalle persone semplici o che sulle persone semplici scarica la propria forza dirompente, anche se il neorealismo di Pratolini non ha qui il carico di drammaticità che invece hanno alcune opere cinematografiche dell'epoca, né lo squallore umano di certi racconti di Moravia.

E' un libro delicato, dicevo, che non cerca il colpaccio, non vuole stupire con situazioni iperboliche che nascondono solo vuoti di sostanza (penso agli ultimi libri di Ammaniti). Delicato come un consommè, forse insipido per chi è abituato a consumare dosi massicce di patatine industriali alla paprika, ma strepitosamente piacevole per chi ha la pazienza di sentire il sapore formarsi pagina dopo pagina, lentamente e senza fretta ma con una profondità che non lascia insoddisfatti.

Edizione del 1966, preso un paio di giorni fa da un rigattiere per 50 centesimi, un terzo di biglietto dell'autobus, mezzo caffè, tanta vita.

mercoledì 20 novembre 2013

Lettera al padre - Franz Kafka


Veramente un gioiello, che si fa apprezzare per l'eccellente capacità introspettiva di Kafka (non che non fosse cosa nota!), per come pagina dopo pagina viene scandagliato fin nei minimi particolari il suo rapporto col padre e le psicodinamiche familiari che ne derivavano nel quotidiano menage domestico. Un libro di analisi ed autoanalisi, una trasposizione letteraria (o semplicemente e privatamente epistolare) dell'opera di Freud, un affresco personalissimo e al tempo stesso così universale, dentro il quale ciascuno di noi può intravedere elementi della propria infanzia o genitorialità. Mentre lo leggevo mi sono chiesto se lo stessi sfogliando come figlio o come padre, probabilmente come entrambe le cose, dentro ci ho rivisto, per quanto esasperate, diverse situazioni che ho vissuto nei due ruoli.

Mi ha inoltre aiutato a comprendere meglio sia La metamorfosi, letta in adolescenza, che Il processo, letto invece in età adulta, a capire come sia l'insetto orribile che la persecuzione apparentemente inspiegabile siano probabilmente e semplicemente la vita privata ed interiore dell'autore piuttosto che metafore esistenziali rappresentative dell'uomo moderno e del suo senso di inadeguatezza. Ma nel momento in cui tutto ciò ci viene mostrato nella sua nudità, e ciò avviene grazie alla grandezza della mente e della penna di Kafka, esso diviene anche nostro e per tanto in qualche modo universalizzato e tutt'ora attuale.

Decisamente da non perdere!

domenica 27 ottobre 2013

Novembre alle porte - Chaim Potok


Potok
è Potok, non si discute. La sua inarrivabile maestria è nella narrazione, riesce a catturarti con una prosa che nella penna di altri risulterebbe banale, nella sua è semplicemente chiarezza senza fronzoli. Novembre alle porte non è un romanzo vero e proprio ma la storia, appena romanzata, secondo le dichiarazioni dell'autore stesso, di una famiglia di ebrei russi, dal periodo zarista alla fine della guerra fredda, passando per la rivoluzione d'ottobre, lo stalinismo, i pogrom e tutte quelle altre belle cose che i russi, ebrei e non, hanno dovuto patire per 70 anni. Si legge come un romanzo ma è anche un saggio che racconta in modo circostanziato i fatti e ne descrive le atmosfere che ne derivano attraverso gli stati d'animo dei protagonisti.
Grandissimo libro, peccato per la traduzione, è un continuo di "un gruppo di loro fecero", "la maggior parte andarono", lo stesso errore ripetuto dozzine di volte, perchè putroppo, a volte la gente non si regolano!

mercoledì 15 maggio 2013

Shopping editoriale


Da sinistra a destra:

1) Novembre alle porte, Chaim Potok
Non ha bisogno di presentazioni, preso perchè spesso mi sento coccolato leggendo Potok. Servirà per le lunghe navigazioni, o per le notti in rada.

2) Mi chiamavano montanaro, Alex Bellini
L'ho sfogliato, puzza di ghost writer, ma il tizio mi sta simpatico per la sua caparbietà e poi la sua impresa, folle ma vera, rende il viaggio che sto per compiere molto ordinario, quindi rilassante.

3) P'aca y p'alla, Francesca Carignani.
E' il nome della barca con cui Francesca va a zonzo per l'Egeo, il libro me l'ha dato lei, m'ha pure dato un po' di dritte per la rotta, io in cambio le insegno la differenza fra il teflon e i taglieri Ikea.

4) Il mare di Icaro, Goran Schildt.
L'autore è un architetto finlandese che dalla fine degli anni '40 ha navigato tutte le estati in Mediterraneo con la sua barca a vela. Di lui ho letto Vent'anni di Mediterraneo, uno splendido affresco su un mondo fatto di piccoli villaggi di pescatori divenuti poi negli anni centri vacanza strangolati dal turismo. M'è piaciuto talmente tanto che questo, appena pubblicato, l'ho preso ad occhi chiusi. Aprendolo mi sono accordo che parla di una navigazione verso Istanbul, perfetto quindi per me!