Se fosse un audiovisivo sarebbe un TG1 delle 20, preoccupato di non
guastare l'appetito dello spettatore anche quando la notizia è una
strage orribile in un mercato mediorientale. E' un romanzo, invece, che
ci dice che moriremo tutti, molti di noi devastati dall'alzheimer o
affogati nelle proprie ed incontrollate emissioni corporali; è una
dolorosissima realtà, cui noi non credenti non possiamo opporre neanche
l'illusoria consolazione dell'infinito. Eppure per Franzen il dramma
umano, l'inguaribile malattia epilogo dell'esistenza, va edulcorato,
come si conviene fra persone per bene.
Spettacolarizzazione americana della cultura, l'ha definita qualcuno e in questo mi trovo perfettamente d'accordo. Viva Roth, che ti sbatte in faccia la devastazione cui porta il cancro ad un qualche organo vitale, così senza mezzi termini, senza condirla con venature di umorismo che vogliono stemperare ciò che non può, e forse neanche deve, essere stemperato.
Il libro parte molto bene, ma si perde dopo un paio di centinaia di pagine. I lunghi capitoli centrali sono piuttosto noiosi e densi di dialoghi il cui spessore non soddisfa la pretesa di dire più di ciò che le parole stesse che si scambiano gli interlocutori riescono a dire. Si divaga spesso, a volte in modo funzionale alla narrazione, altre decisamente no. Nel finale, all'ultimo capitolo di circa 100 pagine, si riprende, ma divenendo altresì un po' scontato, teminando là dove fin dall'inizio si capiva volesse andare a parare. Dove sono i colpi di scena di cui qualcuno ha detto?
Un romanzo mediocre nel complesso, sia stilisticamente che per il contenuto. E visto che si dice che questo sia il migliore di Franzen, mi sa che il mio rapporto con l'autore si conclude qui. I Lambert, recita la quarta di copertina, siamo noi. Magari, dico io! Magari le tensioni familiari cui ho assistito in famiglie normalissime, fossero tutte là. O sono il solo a non vivere in un condominio del Mulino Bianco?
Spettacolarizzazione americana della cultura, l'ha definita qualcuno e in questo mi trovo perfettamente d'accordo. Viva Roth, che ti sbatte in faccia la devastazione cui porta il cancro ad un qualche organo vitale, così senza mezzi termini, senza condirla con venature di umorismo che vogliono stemperare ciò che non può, e forse neanche deve, essere stemperato.
Il libro parte molto bene, ma si perde dopo un paio di centinaia di pagine. I lunghi capitoli centrali sono piuttosto noiosi e densi di dialoghi il cui spessore non soddisfa la pretesa di dire più di ciò che le parole stesse che si scambiano gli interlocutori riescono a dire. Si divaga spesso, a volte in modo funzionale alla narrazione, altre decisamente no. Nel finale, all'ultimo capitolo di circa 100 pagine, si riprende, ma divenendo altresì un po' scontato, teminando là dove fin dall'inizio si capiva volesse andare a parare. Dove sono i colpi di scena di cui qualcuno ha detto?
Un romanzo mediocre nel complesso, sia stilisticamente che per il contenuto. E visto che si dice che questo sia il migliore di Franzen, mi sa che il mio rapporto con l'autore si conclude qui. I Lambert, recita la quarta di copertina, siamo noi. Magari, dico io! Magari le tensioni familiari cui ho assistito in famiglie normalissime, fossero tutte là. O sono il solo a non vivere in un condominio del Mulino Bianco?
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