Oggi come oggi senza una specializzazione non si va da nessuna parte,
perciò ho deciso di specializzarmi anch'io. D'ora in poi leggerò
solamente libri di scrittori toscani, ambientati nella prima metà del
'900, di cui sia stata realizzata una versione cinematografica e che si
trovino usati a un euro o due. In effetti ho cominciato già da un po',
prima con The girls of Saint Fredian, e poi con Bube's girl; ora ho per
le mani Metellow, che in realtà ho comprato nuovo, ma vi ho piazzato la
foto di una vecchia edizione e voi fate finta di credere che anche
stavolta l'ho pagato pochi spicci.
Viste certe tendenze esterofile, ho anglicizzato i titoli dei libri, dicono che ci si faccia un figurone!
Diciamolo subito senza mezzi termini: è un gran romanzo. Scorrevole, fluido, alterna sapientemente dialoghi e descrizioni, come pure fatti personali della vita dei protagonisti e scene di vita cittadina della Firenze di più di cent'anni fa. E' stato pubblicato nel '52, ci separano dalla sua stesura all'incirca gli stessi anni che intercorrono fra la prima edizione e le vicende narrate. Questa cosa mi fa un po' impressione; nel '52 gli uomini che vissero quell'epoca di anarchismo, socialismo e lotte operaie erano ancora vivi, Pratolini li conosceva, parlava con loro, con il risultato che il racconto è veramente vivido, di prima mano. Sì, insomma, è come sentir raccontare una storia antica direttamente da chi l'ha vissuta, ma con un linguaggio ed uno stile moderni, attuali e, soprattutto, coinvolgenti.
Ci sono libri, e Metello è sicuramente fra questi, che ogni volta che li apri ti schiudono la porta del loro mondo traslandoti in un'altra dimensione spazio-temporale, sia questo per un paio di pagine o qualche ora di lettura. Non necessariamente si tratta di grandi romanzi, piuttosto di romanzi ben scritti, storie ben narrate, fatte di primi piani e campi lunghi, come fossero un film diretto da un abile regista. Metello, invece, come ho premesso, è anche un grande romanzo. A me poi le ambientazioni otto-novecentesche piacciono in modo particolare, mi piacciono le storie di quell'epoca di incredibile trasformazione, sociale, tecnologica e di costume, storie di uomini e donne che con le loro piccole storie hanno contribuito a scrivere la Storia. Perchè sono Betto, Chellini, Olindo, Pallesi, insieme a tanti sconosciuti, ad aver tracciato la strada dei diritti fondamentali di cui gode oggi chi lavora.
Se vogliamo trovare un difetto, questo libro appare nell'insieme leggermente edulcorato, le sofferenze e la miseria hanno toni sfumati, chi le patisce non sembra aver perso il sorriso, o forse l'abbiamo perso troppo rapidamente noi con una crisi economica che paragonata a quei tempi parrebbe abbondanza. Ho visto pure il film, con Massimo Ranieri e Ottavia Piccolo, bello pure lui, strepitosa la colonna sonora di Morricone (mica bau bau micio micio). Forse Ranieri non era adattissimo al ruolo, troppo minuto nel fisico per come Metello è descritto da Pratolini, ma soprattutto troppo triste ed austero rispetto al personaggio scritto. Bellissime le scenografie ed i costumi, sembravano cartoline d'epoca.
Segnalo infine una bella prefazione di Pennacchi che racconta che il libro fu snobbato dagli intellettuali impegnati dell'epoca perché il protagonista antepone spesso il suo piacere personale alle riunioni sindacali, è carente quindi di coscienza sociale (nel senso leninista del termine). Per fortuna, direi, forse è proprio questa umanizzazione, questa presa di distanza dal realismo socialista in campo letterario, a farne un vero capolavoro.
Viste certe tendenze esterofile, ho anglicizzato i titoli dei libri, dicono che ci si faccia un figurone!
Diciamolo subito senza mezzi termini: è un gran romanzo. Scorrevole, fluido, alterna sapientemente dialoghi e descrizioni, come pure fatti personali della vita dei protagonisti e scene di vita cittadina della Firenze di più di cent'anni fa. E' stato pubblicato nel '52, ci separano dalla sua stesura all'incirca gli stessi anni che intercorrono fra la prima edizione e le vicende narrate. Questa cosa mi fa un po' impressione; nel '52 gli uomini che vissero quell'epoca di anarchismo, socialismo e lotte operaie erano ancora vivi, Pratolini li conosceva, parlava con loro, con il risultato che il racconto è veramente vivido, di prima mano. Sì, insomma, è come sentir raccontare una storia antica direttamente da chi l'ha vissuta, ma con un linguaggio ed uno stile moderni, attuali e, soprattutto, coinvolgenti.
Ci sono libri, e Metello è sicuramente fra questi, che ogni volta che li apri ti schiudono la porta del loro mondo traslandoti in un'altra dimensione spazio-temporale, sia questo per un paio di pagine o qualche ora di lettura. Non necessariamente si tratta di grandi romanzi, piuttosto di romanzi ben scritti, storie ben narrate, fatte di primi piani e campi lunghi, come fossero un film diretto da un abile regista. Metello, invece, come ho premesso, è anche un grande romanzo. A me poi le ambientazioni otto-novecentesche piacciono in modo particolare, mi piacciono le storie di quell'epoca di incredibile trasformazione, sociale, tecnologica e di costume, storie di uomini e donne che con le loro piccole storie hanno contribuito a scrivere la Storia. Perchè sono Betto, Chellini, Olindo, Pallesi, insieme a tanti sconosciuti, ad aver tracciato la strada dei diritti fondamentali di cui gode oggi chi lavora.
Se vogliamo trovare un difetto, questo libro appare nell'insieme leggermente edulcorato, le sofferenze e la miseria hanno toni sfumati, chi le patisce non sembra aver perso il sorriso, o forse l'abbiamo perso troppo rapidamente noi con una crisi economica che paragonata a quei tempi parrebbe abbondanza. Ho visto pure il film, con Massimo Ranieri e Ottavia Piccolo, bello pure lui, strepitosa la colonna sonora di Morricone (mica bau bau micio micio). Forse Ranieri non era adattissimo al ruolo, troppo minuto nel fisico per come Metello è descritto da Pratolini, ma soprattutto troppo triste ed austero rispetto al personaggio scritto. Bellissime le scenografie ed i costumi, sembravano cartoline d'epoca.
Segnalo infine una bella prefazione di Pennacchi che racconta che il libro fu snobbato dagli intellettuali impegnati dell'epoca perché il protagonista antepone spesso il suo piacere personale alle riunioni sindacali, è carente quindi di coscienza sociale (nel senso leninista del termine). Per fortuna, direi, forse è proprio questa umanizzazione, questa presa di distanza dal realismo socialista in campo letterario, a farne un vero capolavoro.
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