Un quartiere popolare di Firenze nell'immediato dopoguerra, la vita
quotidiana di un Italia che si rimetteva in moto faticosamente ma con
tanta voglia di vivere, un giovane che ci sa fare con le donne (un po'
il Sarracino di Carosone), e loro, un gruppo di ragazze acute,
spigliate, determinate, che pur nella debolezza del cuore che gli deriva
dall'essere innamorate, sanno trovare tutta la loro forza interiore
facendo perno sul rispetto che devono a se stesse. Una prosa lucida e
delicata, serena, un linguaggio a tratti desueto che dà il piacevole
gusto che si prova nel ritrovare un sapore antico.
C'è moltissimo
sentimento in questo libro: personale, per i rapporti che legano il
protagonista alle sue conquiste amorose, ma anche sociale, con il
ricordo della guerra partigiana che fa spesso da capolino attraverso
l'onore che con essa alcuni personaggi si sono conquistati. Non c'è
invece il sentimentalismo, non c'è la ricerca della lacrima,
dell'"istinto basico", non c'è il tentativo, molto in voga tra alcuni
scrittori recenti, di spingere il lettore a trovare se stesso fra le
righe, identificarsi, riconoscersi, come se il narcisismo fosse l'unica
molla che spinge alla lettura di un romanzo.
E poi c'è la Storia,
quella fatta dalle persone semplici o che sulle persone semplici scarica
la propria forza dirompente, anche se il neorealismo di Pratolini non
ha qui il carico di drammaticità che invece hanno alcune opere
cinematografiche dell'epoca, né lo squallore umano di certi racconti di
Moravia.
E' un libro delicato, dicevo, che non cerca il colpaccio, non vuole stupire con situazioni iperboliche che nascondono solo vuoti di sostanza (penso agli ultimi libri di Ammaniti). Delicato come un consommè, forse insipido per chi è abituato a consumare dosi massicce di patatine industriali alla paprika, ma strepitosamente piacevole per chi ha la pazienza di sentire il sapore formarsi pagina dopo pagina, lentamente e senza fretta ma con una profondità che non lascia insoddisfatti.
Edizione del 1966, preso un paio di giorni fa da un rigattiere per 50 centesimi, un terzo di biglietto dell'autobus, mezzo caffè, tanta vita.
Che ricordi... quel libro, con quella copertina e quel prezzo. Passato a me dai fratelli più grandi che lo avevano abbastanza snobbato. Lo divorai e mi piacque, immaginarmi una di quelle ragazze, captare qualcosa di quell'acume di cui tu parli. Le ragazze di Sanfrediano era insieme alla ragazza di Bube, uno dei miei romanzi preferiti. Bella analisi, la tua. E bello il riferimento a una letteratura che non aveva bisogno di stupire ma si concedeva il privilegio di raccontare.
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